È quanto ha statuito il Tribunale di S.M.C.V. con la sentenza n. 3071/2024, in un giudizio di opposizione a delibera assembleare condominiale.
Il contenuto minimo necessario risponde all’esigenza di rendere fattiva la soluzione alternativa e/conciliativa della controversia anche e solo nell’intento di provocare una contrazione del thema decidendum nella fase successiva processuale.” Nel caso di specie, nella domanda di mediazione l’attore ha indicato in oggetto “impugnativa di delibera assembleare” tralasciando ogni riferimento ai motivi specifici di impugnazione della delibera e al petitum.
Secondo il Tribunale adito la parte chiamata in mediazione non può conoscere la materia dell’eventuale giudizio e neppure partecipare alla mediazione con cognizione di causa approntando le difese più opportune. L’istanza di mediazione, come previsto per gli atti processuali, per essere valida ed efficace, deve indicare le delibere impugnate, il provvedimento di nullità o annullabilità che si chiede al giudice e l’indicazione sintetica delle ragioni dell’impugnazione.
Infatti secondo il Giudice “…Una domanda di mediazione generica sotto il profilo del petitum e della causa petendi non può considerarsi validamente espletata e comporta l’improcedibilità della domanda di mediazione depositata, in quanto priva proprio dei requisiti minimi richiesti dalla norma contenendo la sola dicitura “impugnazione delibera assembleare” e mancando del tutto la specificazione dei motivi e dei vizi del deliberato impugnato, elementi indispensabili per il regolare svolgimento del procedimento di mediazione.
Conseguentemente il Tribunale di S.M.C.V. ha dichiarato la improcedibilità della domanda giudiziale connessa.
La questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Roma con ordinanza del 13 giugno 2023 (R.G. n. 13193/2023), e assegnata alla definizione delle Sezioni Unite dal decreto della Prima Presidente della S.C. del 5 luglio 2023, conferma come sia sempre più consistente il convincimento che la mediazione civile, specie quella obbligatoria prevista per le materie elencate all’art. 5 del d.lgs. 28/2010, costituisca un istituto “sganciato” dalla potenziale lite governata dal Giudice statale, specie riguardo ai formalismi che spesso in molti ritengono attribuirgli.
Già da tempo, la dottrina considera la mediazione come un istituto a-giuridico o pre-giuridico ed anche la giurisprudenza ritiene che le domande di mediazione e giudiziale non possano essere completamente assimilate tra loro, posto, in particolare, che quella avanzata in mediazione, diversamente da quella posta a base della domanda giudiziale, non deve presentare la qualificazione giuridica dei fatti controversi. Differenza non di poco conto.
A ben vedere, la mediazione, perché funzioni e raggiunga lo scopo di conciliare individui in lite, deve prescindere dai formalismi del diritto, non soltanto di quelli propri del processo, ma anche –più in generale– del diritto sostanziale. Il diritto e il processo sono entrambi rivolti a stabilire chi ha torto e chi ha ragione; la mediazione prescinde completamente da questa contrapposizione.
Ed infatti il mediatore deve, innanzi tutto, adoperarsi al meglio per riattivare la comunicazione tra persone, inevitabilmente interrottasi con l’insorgere della lite; poi, aiutarle ad individuare i propri bisogni e le ragioni reali e profonde della controversia ed infine, facilitare la composizione amichevole del contrasto, individuando soluzioni che non devono necessariamente essere limitate allo specifico oggetto della controversia.
A tal fine occorre rammentare i tre principali pregi propri della mediazione, strettamente correlati tra loro:
la libertà delle persone dalle qualificazioni giuridiche: diversamente dal processo, esse hanno la possibilità di comporre i propri interessi nel modo che ritengono più opportuno;
la possibilità di individuare una “soluzione su misura”, che soddisfi le speciali esigenze e i bisogni particolari di ciascuna;
il controllo totale dei partecipanti sulla conclusione del procedimento di mediazione e, ovviamente, sul contenuto dell’eventuale accordo di conciliazione; senza la volontà degli aderenti è impossibile giungere alla risoluzione della controversia.
Alla luce di ciò, può affermarsi che la mediazione può risolvere un “conflitto a-giuridico o pre-giuridico” o un “conflitto degl’interessi”, che si pone temporalmente, in un momento anteriore rispetto al “conflitto delle pretese, nel senso che ciascuna parte pretende di avere per sé la protezione del diritto” -Carnelutti, voce «Componimento», in Enciclopedia Italiana, 1931-.
Tale corretta conclusione appare però astratta, se non erronea a molti, quando ci si chiede come possa un istituto regolato da norme di diritto non assumere una pluralità di profili “giuridici”, specie se alcuni degli atti nascenti assumono una rilevanza legale, perché idonei a produrre effetti per il diritto. Vedi, per esempio, il contenuto dell’art. 8, comma 2, primo periodo, d.lgs. 28/2010, ai sensi del quale “Dal momento in cui la comunicazione di cui al comma 1 [di proposizione della domanda giudiziale] perviene a conoscenza delle parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale e impedisce la decadenza per una sola volta”; od anche il precedente art. 5 che impone che in alcune materie l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Dalle considerazioni finora svolte, appaiono di difficile applicazione queste disposizioni, le quali prevedono che la domanda di mediazione, pur dovendo porsi su un piano “a-giuridico” o “pre-giuridico”, non deve, né ragionevolmente può, contenere tutti gli elementi propri di una domanda giudiziale benché, in caso di mancato accordo, deve successivamente essere valutata in una prospettiva strettamente giuridica. Ce lo rammenta ancora la giurisprudenza di merito, sul punto –da ultimo, la sentenza del Tribunale di Roma del 13 giugno 2023, n. 9450-, che ha chiarito come, ai sensi dell’art. 4 del D.lgs. n. 28/2010 (che richiede che la domanda di mediazione indichi le “ragioni della pretesa”, espressione che deve essere intesa nel senso della sufficienza dell’allegazione una situazione di fatto latamente ingiusta per la quale si prospetti una futura, possibile azione di merito, non risultando necessario inquadrare giuridicamente il fatto, atteso che l’istanza di mediazione, diversamente da quanto previsto per l’atto di citazione e il ricorso, ex artt. 163 e 414 c.p.c., non deve contenere anche l’indicazione degli “elementi di diritto” della pretesa vantata), gli accadimenti narrati nella domanda di mediazione, affinché possa essere soddisfatta la condizione di procedibilità, devono essere corrispondenti, “simmetrici” a quelli che saranno poi esposti in fase processuale.
In sintesi, l’istanza di mediazione deve ricalcare la futura domanda di merito, includendo tutti, e gli stessi, elementi fattuali che saranno introdotti nel futuro giudizio.
Ne discende, dunque, la necessità di una applicazione che superi il più possibile il formalismo, ponendo l’attenzione sugli elementi fondamentali ed essenziali degli atti, ed al fine di produrre gli effetti previsti dagli artt. 5 e 8 cit., sia sufficiente non soltanto che la domanda di mediazione indichi i fatti storici ritenuti pregiudizievoli e una sommaria spiegazione delle ragioni della propria pretesa, ma anche che tali indicazioni possano essere liberamente compiute dalla parte chiamata nel procedimento di mediazione.
Dunque, non appare logico ritenere sussistente un obbligo di un’espressa proposizione di una domanda riconvenzionale di mediazione, benché risulti corretto ritenere che sia stato esperito il tentativo di mediazione obbligatoria della parte chiamata in mediazione quando chieda, aderendo alla mediazione, di estendere l’oggetto del confronto comprendendo anche le proprie “contro pretese” che, giusta la previsione di cui all’art. 36 c.p.c., “dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione”.
E, ove la parte chiamata in mediazione ritenga che sussista un terzo chiamato a rispondere in suo luogo e anche questo rapporto rientri nell’ambito applicativo dell’art. 5 cit., ai concorrenti fini dell’assolvimento dell’onere di previo esperimento della mediazione obbligatoria per la chiamata del terzo ex art. 32 c.p.c. e di produzione degli effetti di interruzione della prescrizione e di impedimento della decadenza, è indispensabile che venga comunicata al terzo l’atto contenente gli elementi minimi previsti dall’art. 4 perché possa ritenersi sussistente una domanda di mediazione, ovvero la richiesta all’O.d.m di estendere, con l’adesione, il procedimento nei confronti del terzo.
Riflessioni che attendono il vaglio delle SS.UU. sulla pregiudiziale.
Secondo il Tribunale di Catanzaro (sent. n. n. 1843/2022) nell’opposizione a decreto ingiuntivo relativo ad una controversia soggetta a mediazione obbligatoria, l’ingiustificata assenza della parte al procedimento avviato dall’opposto non comporta l’improcedibilità del giudizio ma soltanto la sanzione pecuniaria costituita dal versamento di un importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.
La mancata comparizione dell’opponente dinanzi al mediatore, a seguito di iniziativa assunta dall’opposto non può comportare l’improcedibilità del giudizio di opposizione, perché “non rientra tra quelle previste per la mancata comparizione dall’art. 8 comma 4-bis D.Lgs. 28/2010 che, prevede, come conseguenza dell’assenza delle parti la sola applicazione di una sanzione pecuniaria oltre che la rilevanza di tale comportamento ex art. 116 c.p.c.”.
Come affermato dalla Cassazione, infatti, “l’improcedibilità quale conseguenza sanzionatoria di un comportamento procedurale omissivo, derivante dal mancato compimento di un atto espressamente configurato come necessario nella sequenza procedimentale deve essere espressamente prevista, non potendo procedersi ad applicazione analogica in materia sanzionatoria, attese le gravi conseguenze del rilievo dell’improcedibilità”,
Dunque, l’improcedibilità non può operare in difetto di espressa previsione legislativa (Cass. n. 20975/2017) e nel caso di specie “considerato che pacificamente l’opponente non ha partecipato alla procedura di mediazione né ha fornito giustificazione valida della sua mancata partecipazione, deve essere condannato a versare all’erario l’importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il presente giudizio”.
Nuova procedura per la redazione e sottoscrizione del verbale informatico
La Riforma Cartabia ha modificato, tra l’altro, le norme che regolano la mediazione in modalità telematica e, in particolare, la redazione e sottoscrizione del verbale informatico degli incontri tenuti a distanza da remoto e che, entreranno in vigore a partire dal prossimo 30 giugno 2023, con le modalità indicate dal nuovo art. 8-bis del d.lgs. n. 28 del 2010.
La novella stabilisce che l’organismo di mediazione, ed il mediatore che cura il singolo procedimento, devono attenersi alle norme previste dal Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) per la trasmissione degli atti relativi al procedimento di mediazione, ed ovvero trasmissione attraverso l’utilizzo di sistemi di posta elettronica certificata (PEC) o equivalenti; inoltre anche la conservazione della documentazione relativa al procedimento deve rispettare la normativa Cad e la sua esibizione sarà consentita se correttamente richiesta. In sintesi, sia la conservazione, sia l’esibizione dei documenti, devono effettuarsi a mezzo di documenti informatici, come disposto dall’art. 43 del citato codice.
Con la riforma, dunque, il procedimento di mediazione può svolgersi in modalità telematica, o in modalità mista (cioè con alcune parti in presenza ed altre in collegamento da remoto), purché anche solo una delle parti lo richieda, superando il necessario consenso di tutte le parti.
Inoltre, il terzo comma del nuovo art. 8-bis del d.lgs. 28/2010 dispone che sia onere del mediatore formare il documento informatico contenente il verbale (e l’accordo eventualmente raggiunto) e trasmetterlo alle parti, al fine di permetterne la sottoscrizione da parte di queste ultime. In questo caso la sottoscrizione del verbale informatico di mediazione deve essere effettuata tramite firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata. Il verbale, poi, deve essere trasmesso anche agli avvocati delle parti, ove intervenuti (ad esempio, nella procedura di mediazione delegata ordinata dal giudice), e da questi sottoscritto. Una volta sottoscritto dalle parti e, se necessario (mediazione obbligatoria), dai loro avvocati, il file contenente il verbale informatico sottoscritto deve tornare al mediatore, che vi appone la propria firma nelle medesime modalità sopra descritte. Lo stesso mediatore, successivamente, provvede a trasmettere il verbale informatico di mediazione così sottoscritto alle parti, ai loro legali e alla segreteria dell’organismo di mediazione, che, come abbiamo visto più sopra, provvederà alla sua conservazione e all’eventuale successiva esibizione a richiesta.
Accade sempre più frequentemente che la parte interessata in un procedimento di mediazione non possa comparire od anche non voglia comparire personalmente perché, p.e., non voglia incontrare parenti in un procedimento di divisione di beni caduti in successione.
Come noto, la legge pretende la comparizione delle parti davanti al mediatore perché soltanto nel dialogo diretto fra i litiganti e il conciliatore si può trovare una soddisfacente composizione degli interessi in grado di evitare la controversia giudiziale; ecco perché il potere di delegare a un’altra persona la partecipazione al primo incontro deve essere circoscritto a ipotesi particolari e comunque caratterizzata da particolare rigore formale. Dunque, in presenza di un motivo che renda impossibile alla parte presentarsi personalmente all’incontro di mediazione, questa può delegare un terzo od anche il proprio avvocato.
Ma attenzione: la procura non può consistere in una scrittura privata, ma deve essere necessariamente autenticata. Di recente, il tribunale di Pavia (sent. n. 1320/22), dichiarando improcedibile la domanda, ha ribadito che la parte che non può partecipare a un incontro della mediazione civile può delegare una terza persona, compreso il difensore, ma in tal caso la procura speciale rilasciata ad hoc non può essere autenticata dall’avvocato, perché il conferimento del potere di partecipare in sostituzione dell’interessato esula dai possibili contenuti della procura alle liti che il legale può autenticare direttamente.
Non basta una mera scrittura privata per delegare: la firma deve essere autenticata da parte del notaio o comunque di un pubblico ufficiale. Il legale, quindi, anche se è lo stesso difensore della parte, non può autenticare la procura speciale del proprio cliente con cui gli conferisce il potere a farsi sostituire da lui nella mediazione, in quanto il potere dell’avvocato di certificare le sottoscrizioni risulta limitato al rilascio della procura alle liti Il legale che partecipa alla mediazione al posto della parte diventa invece rappresentante sostanziale dell’assistito oltre che difensore: serve dunque una procura sostanziale – diversa e aggiuntiva – rispetto a quella alle liti, predisposta da un soggetto terzo autorizzato in modo espresso dall’ordinamento.
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